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PROPAGANDA
detergente del pensiero critico
244 pp • € 12,50
«Quando tutti pensano alla stessa maniera,
nessuno pensa molto»
Walter Lippmann
Per cominciare, sgombriamo subito il campo da un equivoco che puntualmente si viene a creare. Cosa si intende per propaganda? Secondo una definizione risalente ai primi anni 50, più volte ripresa in virtù della sua sostanziale precisione, la propaganda è «una tecnica di pressione sociale che mira alla formazione di gruppi psicologici o sociali a struttura unificata, attraverso l’omogeneità degli stati affettivi e mentali degli individui presi in considerazione».
Occorre perciò tenere bene in mente che la propaganda costituisce una tecnica di omologazione, se si vuole comprendere quanto sia errata e fuorviante la consolidata abitudine di considerarla una sorta di diffusione organizzata di idee. Se si limitasse a ciò, ad essere criticabile sarebbe solo la forma che essa può talvolta assumere, ma di per sé sarebbe ritenuta comunque giustificata poiché corrispondente ad un bisogno reale ineludibile. Nessuno può infatti negare che ogni pensiero degno di questo nome tende a trovare una propria espressione pratica, e chiunque desideri realizzare un progetto che vada oltre se stesso non può esimersi dall’affrontare il problema di come comunicare al maggior numero di persone ciò che reputa vero, giusto, utile.
Ma non è di questo che qui si tratta, e pazienza se nel 1793, in piena Rivoluzione francese, venne formata in Alsazia una associazione che prese ufficialmente il nome di Propaganda, il cui compito era quello di diffondere le idee rivoluzionarie nelle città e nei villaggi. Precedente storico che potrà forse spiegare l’origine dell’equivoco, ma non per questo legittimarlo. Due significati radicalmente contrapposti non possono convivere in uno stesso termine senza provocare un certo confusionismo che, invece di alimentare, ci piacerebbe per quanto possibile provare a dipanare.
Ebbene, è facile capire come la propaganda non abbia nulla a che vedere con l’illuminante viaggio di un’idea, non essendo interessata né alla riflessione, né al dibattito e tanto meno alla consapevolezza.